Inutile, incoerente, pericoloso. Si presenta così, agli occhi di analisti ed esperti, il divieto di pubblicità dei giochi con vincita in denaro appena emanato dal governo attraverso il Decreto Dignità. Inutile, perché non può risolvere né arginare, in nessun modo, l’eventuale diffusione delle patologie legate al gioco d’azzardo, non intervenendo sulla distribuzione dei prodotti di giochi, sulla frequenza delle giocate o sulle possibilità di vincita, limitandosi a un mero divieto di promozione: mentre i giocatori patologici o anche quelli soltanto “a rischio” di patologia, i cosiddetti “problematici”, non hanno certo bisogno di vedere una pubblicità in tv per essere indotti a giocare. Incoerente, perché va in direzione opposta rispetto alle politiche perseguite (e con successo, checché se ne dica) dal nostro paese dal punto di vista della sicurezza dei giocatori e dell’ordine pubblico, garantendo un presidio di legalità che appariva impossibile fino a quindici anni fa: inoltre, anche rispetto alle norme comunitarie, si rivelano profili di incoerenza, tenendo conto della Raccomandazione Ue del 2014 che nell’invitare gli Stati Membri ad una sempre più efficace protezione dei consumatori, sottolinea l’importanza di mantenere la pubblicità dei giochi – sia pure in modo controllato – per rendere riconoscibili agli utenti i giochi legali da quelli illeciti. Ma il punto più delicato è proprio quello della pericolosità di un divieto di questo tipo: in primo luogo proprio per l’indistinguibilità dell’offerta legale da quella illegale: quando sarebbe bastato veramente poco, in questo senso, per approfondire la materia e capire – tant’è evidente - che le campagne pubblicitarie dei prodotti di gioco, nel nostro paese, interessano quasi ed esclusivamente prodotti di gioco online e scommesse.
Non le slot machine,
ritenute dal governo le più pericolose in assoluto in termini di addiction e dalle quali è partita ogni campagna “anti-gioco”. Ma soprattutto, osservando le campagne pubblicitarie che vengono realizzate dalle società di gioco, è evidente che
l’obiettivo non è quello di attirare nuovi giocatori, bensì quello di competere tra diversi brand, al fine di strappare un giocatore abituale ad un concorrente. Attraverso un’offerta migliore, un servizio più accurato, e così via. Ma semplicemente spostando un giocatore già esistente ed abituale da un sito ad un altro. Oltre a promuovere l’offerta legale, visto che le società prive di una regolare concessione nel nostro paese, al contrario, non possono oggi fare pubblicità dei loro marchi. Ma non serve neppure guardare le pubblicità in corso per capirlo, perché a dirlo con chiarezza sono i dati, disponibili in varie forme, dai quali è evidente come, negli ultimi anni, il numero dei giocatori non è più aumentato, mantenendosi pressoché costante. Da qui la sterilità della norma e, appunto, il rischio maggiore: visto che
adesso che diventano tutti uguali, tra operatori legali ed illegali, almeno agli occhi del pubblico, il rischio è proprio quello di uno spostamento verso l’illecito, del quale non si può non tenere conto.
RISVOLTI SU OCCUPAZIONE E MERCATO - Altre sono invece le possibili considerazioni che si possono fare sempre in termini di pericolosità delle norme, per esempio in termini di rischi occupazioni, di squilibri economici e di mercato. Basta infatti pensare alle aziende che stavano entrando ora sul mercato del gaming online, attraverso le concessioni appena rilasciate dall’amministrazioni, che si vedono costrette a fare marcia indietro. Oppure al fatto che i brand “minori”, in questo modo, saranno completamente svantaggiati rispetto ai marchi di gioco più affermati e non avranno mai più modo di sviluppare le proprie attività aumentando la loro base di giocatori (di nuovo: strappandola ai competitor, non essendo ormai più possibile creare nuovi giocatori, in Italia).
Insomma, i profili critici che si ravvisano attorno al decreto dignità e alle misure imposte nei confronti dei giochi sono molteplici e non possono passare inosservate non soltanto agli occhi del governo, ma anche a quelli del Parlamento, dove
si trova in questi giorni il testo di legge, per un esame delle commissioni prima e dell’Aula poi, per arrivare all’approvazione e alla definitiva conversione in legge.
I PERICOLI IN RETE (E IN TV) - Senza contare, poi, che le conseguenze sono destinate a rivelarsi ancora peggiori, rispetto alle criticità fin qui evidenziate. Si pensi, per esempio, all’impatto che queste restrizioni – unicamente italiane – avranno sul mondo del web. E’ notizia di questi giorni che il colosso informatico Google ha interrotto immediatamente la possibilità di eseguire campagne promozionali sul proprio canale, interrompendo i contratti (anche quelli già in essere, a quanto pare) con le società di gioco italiane, non solo a livello di banner sui siti web ma anche in termini di parole chiave, utilizzate per scalare la ricerca sul web. Col risultato che, a regime, quando un utente cercherà delle parole relative al mondo del gioco, non troverà più nelle primissime posizioni le offerte di gioco dei siti legali in Italia (che fino ad oggi competevano, anche qui, a caccia di keywords specifiche), mentre si troverà di fronte siti ”punto.com”, non legali in Italia, per il semplice fatte che sul circuito di Google a livello mondiale non verranno certo impedite le campagne per questi siti, visto che non esiste un divieto simile negli altri paesi. Per un’autentica beffa nei confronti degli operatori italiani, e non solo un danno evidente. Tra gli effetti collaterali, tuttavia, è facile immaginare come – in maniera del tutto opposta rispetto alla volontà del governo – nei prossimi mesi si assisterà ad una spaventosa concentrazione degli sport pubblicitari da parte dei bookmaker italiani, dovuta al semplice fatto che, avendo il governo salvato (inevitabilmente) i contratti già in essere tra società di gioco e media ma entro una specifica scadenza (e a breve termine), i servizi pubblicitari previsti in questi accordi si dovranno effettuare nel più breve tempo possibile, lasciando immaginare una forte concentrazione di spot durante i prossimi eventi sportivi, già alla ripresa dei prossimi campionati di calcio e altri sport. Mentre continuano a farsi largo - e lo faranno sempre di più - campagne promozionali di altre attività "a rischio" (ma non per il governo, evidentemente) che trovano ora nuovi spazi, soprattutto in rete, a causa della prossima scomparsa delle pubblicità di gioco. Come ad esempio alcune offerte aggressive sul trading online, già oggetto di osservazioni particolari in altri paesi, ma non nel nostro, dove si parla quasi esclusivamente di gioco. Ma questa è un'altra storia: mentre rispetto ai giochi e al nuovo divieto, rimane da chiedersi: possibile che non ci fosse un intervento migliore di questo da fare sui giochi, se proprio si voleva intervenire nei confronti dei rischi di dipendenza? E soprattutto: non era forse affermato il principio che prevenire è meglio di vietare?