Correva il marzo 2012, quando - dopo 121 anni di storia – arrivò la chiusura per l'ippodromo del trotto di Firenze, Le Mulina, uno dei più antichi d' Italia, nel parco delle Cascine.
Per la valorizzazione del complesso immobiliare pochi mesi dopo il Comune pubblicò un apposito bando, vinto dalla società Pegaso Srl, a cui fecero seguito l'aggiudicazione definitiva della concessione nell'ottobre 2014 e la stipula del relativo atto di concessione nel marzo 2015, della durata di 25 anni. Un "matrimonio" in pratica mai consumato: la Pegaso, sottolineando la non disponibilità del bene in quanto occupato da terzi, non ha provveduto a porre in essere le valorizzazioni previste nel bando, fatto che ha portato il Comune ad avviare la procedura per la revoca della concessione.
Da allora, l'area è stata al centro di un agguerrito braccio di ferro di fronte ai giudici amministrativi tra Palazzo Vecchio e l'ex gestore, ma anche della cronaca, con svariati casi di occupazioni abusive, sgomberi, un incendio e l'apposizione dei sigilli ad una discoteca non autorizzata.
Ora il corso degli eventi potrebbe cambiare, anche grazie alla sentenza, appena pubblicata, con cui il Consiglio di Stato ha bocciato l'operato del Comune, che aveva proposto appello contro la sentenza del Tar Toscana che nel 2017, in parziale accoglimento del ricorso dell'ex gestore dell’ippodromo Le Mulina, ha annullato il provvedimento di decadenza dalla concessione, con contestuale intimazione a rilasciare il compendio immobiliare disposta con determinazione comunale nel 2016.
La motivazione? Eccola: “In base al cronoprogramma, cui fa espresso rinvio l’atto di concessione, l’inizio delle opere di riqualificazione a carico della concessionaria era condizionato dallo stato di piena disponibilità della struttura: 'non appena ottenuto il possesso del complesso immobiliare, libero da persone e cose, e sottoscritto l’impegno con il Comune di Firenze'. Lo stato di piena libertà della struttura in modo da servire all’uso convenuto deve dunque essere qualificato come obbligo essenziale per l’attuazione della concessione”.
Il Comune invece, secondo quanto ricostruiscono i giudici di Palazzo Spada, non aveva garantito tale stato, finendo invece per affermare che “nessun impedimento all’utilizzo della concessione sarebbe (stato) nel caso di specie configurabile e tanto meno imputabile all’amministrazione” e ribadendo che “l’occupazione dell’ippodromo da parte di abusivi avrebbe riguardato una porzione irrisoria del complesso immobiliare e che parimenti di ridotte dimensioni sarebbe la presenza di rifiuti”. Inoltre, il gestore, “avrebbe dovuto quantomeno insistere per l’inserimento di un termine perentorio per il completamento di detta liberazione”.
La concessione era stipulata con atto in data 27 marzo 2015, all’esito di procedura ad evidenza pubblica. Attraverso l’affidamento in concessione, di durata venticinquennale, era infatti “prevista la riqualificazione del complesso immobiliare, versante in stato di abbandono, sulla base della progettazione ed esecuzione di lavori a cura della concessionaria atto a rilanciarne la sua vocazione sportiva e polifunzionale, verso i quali era stata pattuita un’iniziale riduzione del canone (nella misura del 10 percento dell’ammontare convenuto per i primi 24 mesi)”.
Obiettivo che a causa degli inadempimenti del Comune non era stato raggiunto.
Palazzo Vecchio, nel corso della controversia al Tar, dal canto suo aveva richiamato a fondamento della decadenza impugnata “plurimi inadempimenti” del gestore: “una morosità nel pagamento del canone per 2.062,50 euro; il mancato deposito del piano delle attività economiche; la carenza del progetto definitivo relativo alle opere di riqualificazione e la sua non conformità rispetto alle prescrizioni contenute nell’autorizzazione rilasciata dalla competente Soprintendenza per il rilascio della concessione; l’esecuzione di alcuni interventi edilizi senza preventiva autorizzazione dell’amministrazione proprietaria; e il mancato sgombero del complesso dalle installazioni provvisorie allestite in occasione di un evento organizzato dalla medesima concessionaria”.
Questioni per le quali l'ex gestore ha controbattuto che “la decadenza non avrebbe potuto essere adottata per la natura contrattuale dell’atto costitutivo del rapporto tra le parti; inoltre sarebbe stata adottata in violazione del principio di buona fede e correttezza e avrebbe costituito una misura sproporzionata rispetto agli inadempimenti contestati e si sarebbe fondata su ragioni non sufficientemente motivate rispetto alle osservazioni formulate della ricorrente in sede procedimentale”.
Ora il Consiglio di Stato accoglie in parte l’appello incidentale proposto dall'ex gestore e, per l’effetto, in riforma parziale della sentenza di primo grado del Tar, che non aveva concesso il risarcimento richiesto, accoglie la domanda risarcitoria e condanna il Comune di Firenze a corrispondere la somma di 200mila euro, gli interessi, e le spese del doppio grado di giudizio, liquidate complessivamente in 15mila euro, oltre agli accessori di legge.
In allegato, ecco il testo integrale della sentenza.